Perugia, 29 agosto 2013 - PERUGIA è ancora una città mediamente sicura come dicono i dati o le cose stanno peggiorando come percepito dai...
Perugia, 29 agosto 2013 - PERUGIA è ancora una città mediamente sicura come dicono i dati o le cose stanno peggiorando come percepito dai cittadini?
«Premetto — è la risposta del procuratore Fausto Cardella, oggi a L’Aquila per lavoro ma comunque residente nel capoluogo umbro —, che parlo come cittadino con quel poco di esperienza che viene dalla mia professione. Sì, Perugia è una delle città più sicure d’Italia, tenuto conto, certo, di un progressivo degrado che ha investito tutto il Paese. Qui il livello di vita resta qualitativamente tra i più elevati sia in senso assoluto, sia in comparazione con altre realtà italiane».
Lei è stato procuratore a Terni oltre che a Perugia. Che differenze ci sono tra le due realtà?
«Beh, ad esempio quando io ero a Terni non c’era il fenomeno dello spaccio in centro che invece a Perugia è, diciamo così, antico. Ma sono due realtà non facilmente comparabili visto che la prima ha una popolazione di circa centomila abitanti con 15mila extracomuniatri censiti, quindi è più facile da governare e tenere sotto controllo. Perugia è una realtà molto più complessa, ad esempio ha una notevole presenza di studenti provenienti da tutte le parti del mondo con usi e costumi diversi. Realtà che vanno integrate. Terni e Perugia sono diverse anche da un punto di vista urbanistico: una è pianeggiante con ampie strade, l’altra è una città bellissima ma complessa. Per un malvivente è certo più facile sfuggire ai controlli nel dedalo di vicoli del centro storico rispetto ad esempio a Corso Tacito».
Cie in Umbria, buona o pessima idea?
«Devo essere sincero, non vedo di buon occhio in genere questi centri perchè credo che non si può pensare di fronteggiare un fenomeno epocale come questa ondata di immigrazione- la storia insegna - con una sorta di campi di concentramento o qualcosa che gli assomiglia molto. Non per etica comportamentale, ma perchè è un approccio sbagliato. Il flusso va governato. Quando ero a Tortona le varie realtà cittadine hanno collaborato risucendo a integrare i nuvi arrivati che ora partecipano e contribuiscono alle varie comunità. Mi pare la via giusta. E poi siamo onesti, non sono solo gli extracomunitari che spacciano. I Cie sono a mio avviso non solo una misura antipatica ma anche inutile, non efficace anzi, foriera questo sì di ulteriori rischi: arriverebbero extracomunitari anche da altre parti d’Italia generando pericolose situazioni di affollamento. I Cie non sono campi chiusi con il filo spinato, si entra e si esce. Mi permetto perciò, con modestia e convinzione, di mettere in guardia da queste soluzioni. A me pare invece che le forze dell’ordine stiano lavorando bene. Dobbiamo potenziare quelle e educare un po’ anche la gente ad avere maggiore rispetto verso la città, il decoro urbano, i monumenti. E’ da qui che si comincia il cammino che porta anche al rispetto delle persone».
Più sicurezza vuol dire repressione?
«Il binomio sicurezza-repressione ha un suo fondamento. Qui però non mi pare ce ne sia poca. Ciò che viene percepito come tale in realtà è dovuto all’inefficenza delle leggi e del processo penale. A me risulta che i fermi per spaccio siano in aumento. Se poi li ritroviamo fuori dopo 15 giorni non è colpa delle forze dell’ordine o della magistratura ma delle leggi. Anche il recente provvedimento sulla custodia cautelare porta a mettere fuori gente dalle carceri. A me a L’Aquila è successo con degli stalker. Da qui lo strabismo... Vanno cercate le reali cause dei problemi se si vuole risolverli».
Donatella Miliani
«Premetto — è la risposta del procuratore Fausto Cardella, oggi a L’Aquila per lavoro ma comunque residente nel capoluogo umbro —, che parlo come cittadino con quel poco di esperienza che viene dalla mia professione. Sì, Perugia è una delle città più sicure d’Italia, tenuto conto, certo, di un progressivo degrado che ha investito tutto il Paese. Qui il livello di vita resta qualitativamente tra i più elevati sia in senso assoluto, sia in comparazione con altre realtà italiane».
Lei è stato procuratore a Terni oltre che a Perugia. Che differenze ci sono tra le due realtà?
«Beh, ad esempio quando io ero a Terni non c’era il fenomeno dello spaccio in centro che invece a Perugia è, diciamo così, antico. Ma sono due realtà non facilmente comparabili visto che la prima ha una popolazione di circa centomila abitanti con 15mila extracomuniatri censiti, quindi è più facile da governare e tenere sotto controllo. Perugia è una realtà molto più complessa, ad esempio ha una notevole presenza di studenti provenienti da tutte le parti del mondo con usi e costumi diversi. Realtà che vanno integrate. Terni e Perugia sono diverse anche da un punto di vista urbanistico: una è pianeggiante con ampie strade, l’altra è una città bellissima ma complessa. Per un malvivente è certo più facile sfuggire ai controlli nel dedalo di vicoli del centro storico rispetto ad esempio a Corso Tacito».
Cie in Umbria, buona o pessima idea?
«Devo essere sincero, non vedo di buon occhio in genere questi centri perchè credo che non si può pensare di fronteggiare un fenomeno epocale come questa ondata di immigrazione- la storia insegna - con una sorta di campi di concentramento o qualcosa che gli assomiglia molto. Non per etica comportamentale, ma perchè è un approccio sbagliato. Il flusso va governato. Quando ero a Tortona le varie realtà cittadine hanno collaborato risucendo a integrare i nuvi arrivati che ora partecipano e contribuiscono alle varie comunità. Mi pare la via giusta. E poi siamo onesti, non sono solo gli extracomunitari che spacciano. I Cie sono a mio avviso non solo una misura antipatica ma anche inutile, non efficace anzi, foriera questo sì di ulteriori rischi: arriverebbero extracomunitari anche da altre parti d’Italia generando pericolose situazioni di affollamento. I Cie non sono campi chiusi con il filo spinato, si entra e si esce. Mi permetto perciò, con modestia e convinzione, di mettere in guardia da queste soluzioni. A me pare invece che le forze dell’ordine stiano lavorando bene. Dobbiamo potenziare quelle e educare un po’ anche la gente ad avere maggiore rispetto verso la città, il decoro urbano, i monumenti. E’ da qui che si comincia il cammino che porta anche al rispetto delle persone».
Più sicurezza vuol dire repressione?
«Il binomio sicurezza-repressione ha un suo fondamento. Qui però non mi pare ce ne sia poca. Ciò che viene percepito come tale in realtà è dovuto all’inefficenza delle leggi e del processo penale. A me risulta che i fermi per spaccio siano in aumento. Se poi li ritroviamo fuori dopo 15 giorni non è colpa delle forze dell’ordine o della magistratura ma delle leggi. Anche il recente provvedimento sulla custodia cautelare porta a mettere fuori gente dalle carceri. A me a L’Aquila è successo con degli stalker. Da qui lo strabismo... Vanno cercate le reali cause dei problemi se si vuole risolverli».
Donatella Miliani
fonte:www.lanazione.it
